Eccoci nuovamente, a distanza di circa tre mesi dalla giornata del Giubileo del carcerato, considerata la permanenza nello stato di necessità ed urgenza, a chiederti di marciare ancora con noi nel giorno di Pasqua, affinché lo Stato di Diritto possa e debba prevalere nella vita pubblica del Paese, partendo proprio dalla sofferenza in cui versa la giustizia italiana. Questa nuova mobilitazione mira a ribadire la necessità di un'amnistia perché le nostre istituzioni fuoriescano dalla condizione criminale in cui si trovano rispetto alla nostra Costituzione, alla giurisdizione europea, ai diritti umani universalmente riconosciuti e alla coscienza civile del Paese.
Si marcerà per ricordare che: Al 30 giugno 2016 i processi pendenti erano 3.800.000 nella giustizia civile e 3.230.000 in quella penale, per un totale di 7.030.000 processi che affollano le scrivanie dei magistrati, ai quali vanno aggiunti circa un milione di procedimenti nei confronti di ignoti;
Ricordiamo le parole di MARCO PANNELLA: «La nostra richiesta di AMNISTIA non è quel "gesto di clemenza" che chiede il Papa. Noi vogliamo un'amnistia "legalitaria", cioè che ripristini le condizioni di legalità costituzionale nei tribunali e nelle carceri, contrapposta a un'altra amnistia: quella strisciante, clandestina, di massa e di classe che si chiama "PRESCRIZIONE". Noi vogliamo un'amnistia che sia propedeutica a una grande riforma della giustizia penale. Chiediamo anche una riforma della giustizia civile, la cui paralisi penalizza i privati e le imprese, scoraggia gli investimenti esteri e comporta costi enormi per l'economia nazionale. Chiediamo una Grande Amnistia per la Giustizia, per la Costituzione, per la Repubblica». L'amnistia di classe, arbitrio nelle mani della magistratura, anche nell'anno 2016 ha cancellato 132 mila processi. Vera amnistia sommersa, negli ultimi 10 anni la prescrizione ha mandato al macero oltre 1,5milioni di processi, quelli dei potenti e di chi si può permettere la migliore difesa, condannando al carcere i più poveri e indifesi, riempiendo le celle di reati bagatellari;
Sono circa 1000 ogni anno i casi di ingiusta detenzione ed errori giudiziari riconosciuti in seguito a sentenza di revisione. Nel solo 2016 la cifra spesa dallo Stato per risarcimento delle ingiuste detenzioni ammonta a 42 milioni di euro;
Anche per quanto riguarda le carceri le cose non vanno meglio: al 31 gennaio 2017, dai dati forniti dal Ministero della giustizia, nei 191 istituti di pena della Penisola risultavano presenti oltre 55.381 detenuti, rispetto a una capienza ottimale di 50.174. Sono numeri che testimoniano il perdurare di uno stato di sovraffollamento delle strutture che noi riteniamo essere persino più grave, poiché i dati delle "capienze regolamentari" non tengono conto delle numerose celle chiuse, inagibili o in fase di ristrutturazione che si trovano pressoché in ogni struttura.
A tutto questo vanno aggiunti gli annosi problemi che affliggono la maggior parte della popolazione detenuta: celle fatiscenti e insalubrità delle strutture, malfunzionamento dell'assistenza sanitaria, carenza cronica di attività trattamentali (lavoro, studio, sport), difficoltà per i detenuti fino all'impossibilità di mantenere rapporti affettivi con i propri familiari, mancate risposte alle istanze presentate ai magistrati di sorveglianza i quali risultano pochi in pianta organica rispetto ai compiti che ogni singolo magistrato deve svolgere (solo 204 in tutta Italia e ne mancano 14), inoltre risultano essere mal distribuiti, difficile accesso alle pene alternative, mentre per i detenuti stranieri continua a rimanere un miraggio poter incontrare e ricevere l'assistenza di un mediatore culturale.
Il 78 per cento dei ristretti è affetto almeno da una condizione patologica, di cui almeno per il 40 per cento da una patologia psichiatrica. Questo a causa di una riforma, quella delle legge 81 sull'abolizione degli Opg, incompleta e interpretata distrattamente, che ancora deve mettere mano a numerosi punti in sospeso: il rispetto del principio di territorialità, in particolare per le donne, la corretta applicazione delle misure di sicurezza provvisorie, la riforma del principio di pericolosità sociale che permette il nefasto ''doppio binario'', retaggio penale del Codice Rocco, le liste di attesa per le Rems (241 persone, di cui molte in carcere), il potenziamento dei Dipartimenti di salute mentale e delle comunità terapeutiche psichiatriche, la necessaria gradualità, da parte della magistratura, dell'invio in Rems considerate dalla legge come strutture terapeutiche residuali per i casi più gravi.
Resta alta la percentuale dei detenuti in attesa di giudizio (35%), e assieme a questo dato si registra anche la promiscuità tra detenuti in attesa di giudizio e condannati definitivi. Sono circa 20.000 i detenuti che devono scontare meno di 3 anni.
Il Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito, nella Mozione Generale approvata dal 40º Congresso tenutosi a Roma, nel carcere di Rebibbia, il 1, 2 e 3 settembre 2016, ha stabilito ''la prosecuzione della battaglia storica di Marco Pannella per l'amnistia e l'indulto quale riforma obbligata per l'immediato rientro dello Stato nella legalità''.
La crisi della giustizia e il protrarsi della non applicazione del dettato costituzionale pongono in grave pericolo l'esistenza dello Stato di diritto, come ci ammonisce da tempo il Consiglio d'Europa attraverso le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo: non dobbiamo mai dimenticare, quanto invece ricordare e denunciare con forza come l'Italia sia costantemente, da almeno trent'anni, condannata per violazione dell'art. 6 della CEDU, riguardante la ''ragionevole durata del processo'', diritto umano tutelato anche dalla nostra Costituzione all'articolo 111, secondo comma. E ancora una volta - infine - sentiamo il dovere di sottolineare anche il richiamo - troppo trascurato dagli addetti, dai media e dall'opinione pubblica - all'importanza che avrebbe una riforma della giustizia al fine di garantire al Paese la ripresa in ogni settore dell'economia, affaticata e depressa a causa del malfunzionamento del sistema giudiziario nei suoi aspetti penali come in quelli civili.